venerdì 30 novembre 2012

L'alimentazione dei carbonari



La famiglia si alimentava con pane e pasta fatte sul luogo, polenta, cereali, aringhe, alici, carne essiccata o conservata in recipienti sotto aceto, cacciagione, uova prodotte sul luogo, latte di capra.
Una tecnica di caccia era quella di osservare dove gli uccelli andavano a dormire (“ndo ievano a pullo”) poi  la notte si andava a caccia con la lampada a carburo che veniva utilizzata per accecare i volatili e con l’aiuto di una pala si procedeva a colpire gli uccelli. All’esterno della capanna era presente anche un piccolo orto, ricavato su una piazza carbonera in disuso che veniva innaffiato con acqua proveniente da un precedente utilizzo. Oltre alla verdura prodotta nell’orto, si mangiavano molte insalate selvatiche, germogli freschi di “vidagghi”, mangiati lessati e ripassati con aglio e olio, germogli di rovo e un tipo di carlina “cardo santo” (carlina zolfina). Fra i legumi selvatici le fave (“favucce”) e i piselli. Come frutta veniva mangiata quella offerta dal bosco: pere e mele selvatiche, ciliegie, more, sorbe, bacche di rosa selvatica, nocciole, cornioli e faggiole (frutti del faggio). Venivano anche allevati alcuni animali da cortile: galline, conigli, tre o quattro capre, maiale. Dopo la realizzazione della capanna si procedeva alla costruzione del forno che veniva realizzato costruendo un muro a secco circolare fino ad arrivare ad una altezza di circa un metro, all’interno veniva riempito di terra sulla quale poste alcune lastre di pietra quindi si proseguiva ancora con il muro a secco fino a ricoprire le lastre a forma di cupola e lasciando una apertura per introdurre la legna e quindi il pane da cuocere; la bocca veniva chiusa con una lamiere oppure con una lastra di pietra. La capienza del forno era di circa 10 -12 pagnotte di pane. La natura del territorio dei Monti Lepini è carsica e scarseggia di corsi di acqua e sorgenti. Per il rifornimento di acqua, bambini e donne,  dovevano fare chilometri per trovare una fonte. Per il trasporto dell’acqua si utilizzavano recipienti di legno a forma di botticelle “coppelle”. Veniva raccolta anche l’acqua piovana dalle lamiere del tetto della capanna, oppure conficcando lamine di ferro sui fusti degli alberi in modo da raccogliere l’acqua piovana che scorreva sul tronco. Un altro sistema era quello di ammucchiare la neve in grosse buche naturali ("pozzi della neve") dove veniva sezionata, e trasportata alla capanna.

giovedì 22 novembre 2012

La piazza carbonera


Una immagine di una antica piazza carbonera

venerdì 16 novembre 2012

La capanna dei carbonari sui Monti Lepini



La grandezza della capanna dei carbonari dei Monti Lepini dipendeva dal numero di persone che doveva ospitare (in genere più di dieci familiari) ed era quindi di circa trenta o quaranta metri quadrati. Essa veniva costruita conficcando sei pali a forma di “forcina” di cui quattro laterali e due centrali. Quelli centrali erano più alti. I pali erano sormontati da altri sette pali (“le cordelle”).  Per la costruzione del tetto venivano inseriti alcuni paletti di legno fra le cordelle e alla fine le lamiere. Le pareti della capanna erano costituite da rami e pali  ricoperti con le zolle di terra fino all’altezza di circa un metro e mezzo. La parte rimanente era coperta con frasche e felci. La porta era costituita da grandi tavole costruite sul luogo. All’interno veniva composto il letto denominato “ravazzola”, conficcando pali per terra e realizzando una sorta di soppalco dove veniva posizionato il materasso realizzato con sacco riempito con le “spruglie”, materiale che ricopre le pannocchie del mais. All’interno della capanna era presente il focolare che veniva acceso su una o due lastre  di calcare (“pianice”). Liberando la pianice delle ceneri e dalle braci si poneva a cuocere una pizza di mais o farina, ricoprendola con un capiente coperchio di metallo (“jò coppo”) oppure con foglie di castagno o di broccolo, ricoprendo il tutto con braci ardenti e cenere calda. Nella capanna era presente anche un tavolo e dei ciocchi di legno per sedersi. Come ripostiglio per i generi alimentari si usavano dei grandi cassoni di legno rialzati da terra. Per l’illuminazione si usava la lampada a carburo: (“la scintilena”). All’esterno della capanna su alcuni alberi venivano ricavati dei fori e conficcati delle aste di legno sui quali venivano appoggiate alcune tavole, questi servivano come sostegno per utensili da cucina e altre cose. Alcuni utensili venivano costruiti dagli stessi carbonari, ad esempio scife e scifelle tavola per stendere la sfoglia “spianatora” (recipienti di legno utilizzati a scopo alimentare) realizzati con l’ascia, grosse forchette di legno, palette di legno, mattarello (utilizzate per cucinare). All’esterno della capanna era presente anche un tavolo.

lunedì 5 novembre 2012

I carbonari nei Monti Lepini



Carbonari, pastori e contadini costituivano la struttura portante dell’economia dei Monti Lepini fino all’inizio del dopoguerra quando è iniziata l’industrializzazione della Valle del Sacco. L’arte della produzione del carbone di legna risale a tempi molto antichi più o meno all’età del ferro, perché per produrre il ferro la componente fondamentale è rappresentata dal carbone. I carbonari venivano principalmente dal paese di Veroli o da altri paesi della vicina provincia di Frosinone. Giunti nel bosco dove dovevano lavorare, la prima attività dei carbonari era costituita dalla costruzione della capanna che ospitava, oltre ai lavoratori anche tutta la famiglia che quindi viveva nel bosco per tutta la durata della stagione di produzione del carbone.